Gruppi Omogenei. A cura di Silvia Corbella, Raffella Girelli, Stefania Marinelli. Roma: Borla 2004.

Presentazione del tema
Come è ricordato già dal titolo la preparazione di questo libro è stata “di gruppo”, e si è basata sul clima di ricerca e collaborazione sviluppato attorno agli anni 2000 sul tema del gruppo a composizione omogenea. I gruppi monotematici e monosintomatici per il loro sviluppo recente specie in ambito istituzionale e associazionistico e per le loro origini remote, che iniziano con la cura nella comunità antropologica fino alle pratiche mediche della Grecia antica, meritavano una esplorazione.
L’indagine si rivelò più produttiva di ogni previsione e suscitò un vivo dibattito su diverse questioni che subito si presentarono. Ad esempio: il gruppo “omogeneo”, che nasce cioè con una condizione determinate a priori, può essere un gruppo analitico? O solo focale, educativo e riabilitativo? E ancora: i partecipanti definiti “omogenei” sono realmente simili? E comunque l’attrattore della similarità che rispecchia, non può diventare un freno per l’individuazione dei singoli all’interno del gruppo e un blocco per la sua evoluzione?
Le domande sorgevano a cascata e nel piccolo gruppo di lavoro che si era formato a Roma attorno alle attività didattiche e di ricerca dei corsi di Claudio Neri alla Facoltà di Psicologia (dell’Università La Sapienza), si vide che il confronto era creativo sia con chi condivideva la prospettiva sia con gli amici e colleghi che la contrastavano. Collegamenti e scambi con i colleghi che parteciparono nel 2000 alla fondazione dell’associazione Argo – ricerca sui gruppi omogenei e ai suoi primi lavori) erano attivi anche a Milano, con Silvia Corbella, Firenze, con il gruppo storico legato alle prime esperienze del “Pollaiolo”, Torino, Padova e altre città. Vecchi temi anche non altrettanto specifici ma risonanti – come la formazione in generale del gruppo terapeutico e analitico e i criteri delle prime interviste per comporlo, e per costruire setting e assetto interno alla mente dell’analista che lo forma – riemersero visti da nuovi vertici. Furono anni particolarmente vivi e creativi. A lezione per la cattedra che insegnava Teoria e Tecnica della Dinamica di Gruppo arrivarono ospiti generosi e produttivi, che presentarono modelli, idee e pratiche cliniche interessanti per dare una base di pensiero comune anche se differenziato e declinato in diversi ambiti di lavoro e ricerca.
Il libro è nato da quell periodo intenso di scambi. Le ricerche che seguirono, più ordinate e formalizzate rispetto al lavoro pionieristico, non saranno più però così creative e piene di entusiasmo! Un libro da riprendere e aggiornare, forse.

La trattazione tocca vari ambiti: di modellizzazione teorica, di pratica clinica, di lavoro nel campo istituzionale. Il Capitolo sulle “Funzioni dell’omogeneità” nel gruppo, di S.Marinelli, (riportato nel Sito in: Pubblicazioni, Gruppi Omogenei, 2004) propone alcune definizioni della nozione di “omogeneità” e delle funzioni che nel gruppo quel fattore, o profondo o relativo alla composizione di superficie, può assumere.
Di seguito è riportato un accenno nel merito delle ricerche nate in tale ambito. E’ tratto da una pubblicazione successiva che riproponeva alcuni dei temi esposti: (citato da:Dimensioni temporali del gruppo. Uno sguardo a partire da Northfield. Vedi in Pubblicazioni il PDF del testo per esteso)

“…la composizione omogenea facilita e stimola più direttamente le identificazioni fra i partecipanti al gruppo, sviluppando un accadere psichico ravvicinato e condensato all’interno del suo processo. Nell’ambito di quelle ricerche l’accelerazione dei processi identificativi e la creazione della comunanza erano state viste su vari piani. Parallelamente e in senso inverso era stata considerata la stimolazione da parte del gruppo “omogeneo” dei processi di lotta de-identificante. Si attiverebbe più facilmente cioè, nell’ambito di un gruppo definito o concepito come “omogeneo” la difesa delle differenze, che nascerebbe contro-campo reciproco del gruppo (Marinelli, ib.) fin dall’inizio oppure, conflittualmente, in una fase successiva, quando il gruppo tende maggiormente verso l’integrazione.
La composizione omogenea stimola comunque il gruppo a precipitare i processi remoti e primari. Mediante il sistema delle valenze (individuate da Bion, 1961) il contatto interpsichico profondo tende infatti velocemente a far emergere e sviluppare una teatralizzazione degli elementi comuni all’interno del gruppo. Si tratta in particolare di elementi e funzionamenti psichici arcaici dei singoli e dei loro apparati più indifferenziati, che il gruppo tende per la sua natura sociale a riattivare. I più immediati a comparire, e che cercano più urgentemente la riattualizzazione, sono proprio i nuclei psichici più attratti, per affinità o simmetria, dalla comunanza elettiva del gruppo omogeneo. Si crea in modo rapido e si può dire contagioso un bisogno di risuonare con la rappresentazione che il gruppo fa delle ragioni per le quali si ritrova composto in quel dato modo e momento. La risonanza (Neri, 1995) crea il bisogno di corrispondere con elementi similari, che confluiscono nella rappresentazione comune, in modo conforme con le ragioni condivise dal gruppo “omogeneo”.
Questa che ho descritto sarebbe anche appunto una forma di accelerazione della creazione del campo di gruppo, inteso come stato mentale e emotivo comune (Neri, ib.).
Spesso questi elementi che si collegano velocemente sono elementi soggettivi che prima dell’ingresso nel gruppo erano rimasti a lungo soggiacenti e accantonati. Nel gruppo essi riemergono improvvisamente con carattere spesso precipitante e dirompente, proprio in virtù della loro possibilità di agganciarsi ad una narrazione sociale, e ad una finalità condivisa. La finalità comune del gruppo è solitamente associata ai criteri (reali o presunti) della selezione omogenea, come ad esempio la guarigione, o l’attesa di salvazione da una malattia comune, e allude esplicitamente o meno a ragioni di ordine “operativo” – come la salute più in generale, o la riabilitazione, o anche la risoluzione di un tema condiviso, come avviene nei gruppi monotematici (ad esempio i gruppi di genitori o parenti di un familiare malato; o con coppie che sono in via di separazione, o di fare una adozione, e molti altri).
Il campo condiviso basato sulle omogeneità e finalità che hanno ispirato la sua composizione, è spesso sentito per questo maggiormente unitario e potenziato. Spesso la narrazione sociale nasce più veloce e spontanea perché si presenta nel gruppo come comunanza selettiva e prevista, diciamo così, “d’ufficio”. Con questa espressione alludo alla dimensione non soggettiva che si trova all’origine del gruppo, istituita o dal suo conduttore o dalla istituzione in lui personificata (o da altro elemento teorico-clinico). Proprio perché nella maggior parte dei casi, chi ha prodotto il gruppo non è un soggetto individuale, le sue ragioni assumono facilmente qualità assolute e imperscrutabili, e sono elaborate come potenti e foriere di eventi potenti. Questo è meglio visibile ad esempio nei gruppi omogenei istituzionali, di sicuro i più diffusi, focali o tematici e a tempo determinato; e, in modo più concreto ancora, è visibile nei gruppi di reparto ospedaliero, con pazienti medici colpiti dalle stesse gravità (Simonetta Bruni, in Gruppi omogenei; rielaborato da Marinelli, in Contributi della psicoanalisi allo studio del gruppo).
Sovente nel gruppo a composizione omogenea la fiducia nell’identità è ampliata e ritenuta salvifica e i membri del gruppo si orientano velocemente a riempire il contenitore comune con ricordi e racconti ben connessi fra loro in modo diretto, e tendenti a ricollegarsi con l’identità data al gruppo dalla sua definizione e rappresentazione omogenee. Questo modo di procedere consente una particolare esperienza di ancoraggio coesivo. Una forza di attrazione profonda, sentita altamente benefica, che contiene l’esperienza del contatto interno finalmente riconosciuto e ora vissuto in presenza di un altro/altri, produce più facilmente catene di racconti, creando figure e scene dense di significato e “valenze” verso i partecipanti e i loro contenuti più corrispondenti e risonanti (Neri, 1995-2002). Questo avviene in quasi tutti i casi. Avviene quando l’omogeneità del gruppo è di “superficie”, ad esempio relativa ad una composizione omogenea monotematica o rieducativa (Hinshelwood, Intervista, ib.); o anche nel caso di omogeneità sintomatiche in gruppi terapeutici, nei quali le differenze dei mondi psichici dei singoli si riveleranno solo nel tempo del processo del gruppo (Kibel, Intervista, ib.). E una spinta simile c’è anche quando l’omogeneità interessa invece il funzionamento profondo del processo di gruppo e riguarda una condizione psichica di indistinzione dei singoli, e di difficoltà ad autodifferenziarsi.
Il coinvolgimento profondo dei singoli membri del gruppo è potenziato dal legame che è venuto organizzandosi nel campo comune intorno ai costrutti prodotti e condivisi, e il gruppo è sentito come soggetto capace e creativo. Sempre meglio il soggetto gruppo diviene un soggetto “noi” attivo nell’esplorazione di sé, e dei legami con il processo, interessato ad elaborare al suo interno i contenuti importati dalla società esterna, e esportati verso di essa (Corbella, 2014). Il gruppo per sua stessa natura non può fare a meno di lottare per evolvere la socialità sincretica iniziale e originaria che contiene le socialità individuali, verso una socialità più complessa e differenziata, nella quale i singoli si sentiranno maggiormente individuati, relativamente indipendenti dalla matrice comune e più in grado di contribuire alla comunanza. Quando il dispositivo ha lavorato bene e risolto le difficoltà di essere nato “omogeneo”, l’evoluzione del processo di gruppo potrebbe anche portare a rappresentare se stesso come unità al lavoro.
Tornerò ancora brevemente e sempre sullo sfondo della temporalità dei processi di gruppo, sulle differenti scale della omogeneità e sui diversi coinvolgimenti del gruppo con la sua presunzione di omogeneità.Ricorderò su questo punto due tipi di circostanze: nella prima, il coinvolgimento del gruppo in un tipo di “omogeneità” circostanziata, può anche manifestarsi per diverse ragioni, in modo non istituente, ma invece “fasico” (Comin, ib.): il gruppo cioè tende o per fasi o periodicamente, a omologarsi in una produzione psichica apparentemente identica, che accomuna i partecipanti. Il processo diviene allora un elaboratore amplificante condiviso dei contenuti trattati in comune.”